COSA CI SPINGE AD ACQUISTARE ANCORA SU SHEIN?
- Valentina Maugeri

- 8 ago
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 31 ott
In questo articolo voglio analizzare insieme a voi quali motivi ci portano ad acquistare ancora su Shein o in un altro e-commerce che propone capi di abbigliamento a prezzi stracciati.
Il contesto economico, la pressione sociale, il desiderio di sentirsi alla moda, sono sicuramente delle dinamiche che non possiamo ignorare, in quanto sono i principali fattori che inducono molti consumatori a scegliere siti come quello della multinazionale cinese per i propri acquisti.
Qui non troverai accuse o moralismi, ma ti guiderò a riflettere sul modo in cui acquistiamo. Un dialogo necessario — e un po' scomodo — che merita di essere affrontato con consapevolezza.
Perché ricordiamoci che abbiamo in ogni momento, la possibilità di scegliere, anche nelle piccole cose.

Io sono Valentina Maugeri, pseudo fashion blogger, studentessa di fashion design e appassionata di stile e comunicazione
Da poco più di un anno ho fondato Dialoghi di Stile con l'obiettivo di far trasparire la mia visione del mondo della moda, dello sviluppo dello stile personale e di rendere questi complessi concetti più fruibili per voi tutti.
Negli ultimi giorni Shein è stata multata dall'Antitrust con un risarcimento di 1 milione di euro per pubblicità ingannevole. Un primo passo in avanti fatto pure in Italia, anche se trattasi di una cifra davvero irrisoria per un colosso del genere.
Quei geni avevano ben pensato di adottare una nuova strategia di marketing, in linea con quella di massa, che già da tempo si professa amica della sostenibilità, lanciando claim “green” ma che sono stati giudicati incoerenti, fuorvianti e ambigui, riguardo le linee “evoluSHEIN by Design” e “#SHEINTHEKNOW”,
contribuendo così a costruire un'immagine "eco-friendly" che sappiamo essere completamente infondata.
Marketing costruito senza coscienza e senza astuzia.
(Fonte: La Stampa)
Acquistare ancora su Shein nel 2025: Perché siamo arrivati fin qui
L'industria tessile è uno dei settori più inquinanti al mondo e i colossi del fast fashion hanno giocato un ruolo chiave in tutto questo, influenzando anche i sistemi produttivi di tutto il mercato della moda, che al fine di rimanere competitivo è sceso a compromessi adattandosi ai nuovi ritmi
Attualmente ci troviamo nell'era dell'ultra fast fashion: Shein, Temu, Primark e simili non si limitano più a produrre stagionalmente, ma ogni giorno sfornando migliaia di nuovi capi a prezzi ancora più bassi, usando strategie che puntano sulla quantità, sulla velocità e sul bombardamento costante di novità.

Le possibilità di scelta a disposizione sono tante, ma spesso non fanno altro che confonderci oltre che non soddisfarci.
Desideriamo spendere poco, per poter comprare una quantità maggiore di prodotti, che ci piacciano e che durino quanto basta; qualora non resistano ce ne faremo una ragione, perché l'anno dopo ne acquisteremo dei nuovi, forse uguali, ma di cui troveremo il prezzo salito tra i 2€ e i 5€.
Quindi, se in un primo momento abbiamo speso poco, i nostri portafogli non ne trarranno così vantaggio se ci ritroveremo a spendere 2 volte per comprare lo stesso prodotto.

Questi processi di acquisto che mettiamo in atto ormai quasi istintivamente non fanno altro che favorire l'insicurezza personale, pronta a essere alleviata dagli acquisti compulsivi che seguono i trend del momento; è qui che il nostro stile personale rischia di risultare appiattito ma questa non è una colpa individuale, bensì una dinamica collettiva.
Cuciture fatte male, difetti di vestibilità evidenti e tessuti discutibili inoltre non valorizzano neanche l'aspetto fisico.
Il marketing del fast fashion fa leva su questo: insicurezze personali, stile non definito, ma soprattutto assenza di cultura sull'argomento.
Ma è davvero così facile fare altrimenti?
L'essere umano è sempre in fase di evoluzione, ed è normale che quello che ci piaceva un tempo ad un certo punto non ci piaccia più, ma è plausibile che il design di un abito che ci attraeva possa smettere di piacerci nel giro di 6 mesi o 1 anno?
E poi, perché dovremmo aver bisogno di così tanti vestiti?
So bene che in un periodo segnato da inflazione, poco tempo a disposizione, pressione e paghe orarie che si aggirano tra i 6€-7€ l'ora in questo Bel Paese non è facile riservare più di un certo budget per poter acquistare capi di abbigliamento nuovi di cui, a volte si può avere stretta necessità.
E dobbiamo considerare anche la sfiducia dei consumatori è sempre più crescente: Shein è solo uno dei tanti brand colpiti da accuse recenti, altri nomi famosissimi della moda come Armani sono stati investiti da accuse e multe da parte dell'Antitrust, portando ad una diffusa visione di sfiducia generalizzata.
Quindi in molti probabilmente si chiederanno: "Se lo fanno i brand del lusso, lo faranno anche i pronto moda ed i premium, quindi perché investire cifre fuori dalla portata per capi prodotti in paesi in via di sviluppo dove la manodopera costa pochissimo se il fast fashion fa lo stesso e costa molto meno ai nostri portafogli?"
Questa è una domanda legittima, che merita rispetto.
Ma proprio per questo è ancora più importante ricordarci che ci sono alternative possibili, anche in piccoli gesti.
Perché non è vero che tutti i brand delocalizzano e sfruttano i lavoratori, molti brand indipendenti si distinguono ancora, soprattutto qui in Italia.
Potremmo poi considerare di mettere da parte del denaro per acquistare un unico prodotto di qualità, bello e davvero utile, facendo quindi un piccolo investimento che può durare nel tempo, dando anche maggior valore ai capi del nostro armadio.
E se imparassimo a valorizzare ciò che già possediamo? Far sistemare un capo da una sarta, personalizzarlo, renderlo nostro davvero.
Oppure ancora comprare nei mercatini dell’usato, negli outlet locali, in quei piccoli negozi che tengono in piedi la propria attività con passione e dedizione.
Sono scelte che richiedono un piccolo sforzo in più, certo, ma sono anche un modo per riappropriarci del nostro potere d’acquisto, con più consapevolezza e meno automatismi.
Che poi, non venitemi a dire che vi fa schifo acquistare capi usati perché indossati da altri in passato, perché anche indossare quelli che sono stati buttati a massa in mezzo ai topi o cuciti da persone in bagni di sudore e mani sanguinanti fa parecchio ribrezzo.
Ok scusate, sembrava un'accusa questa, ma la ritengo una cruda verità necessaria.
Riferendomi alla domanda sopra, a meno che non ci siano importanti cambiamenti fisici — come un’improvvisa variazione di peso, o la crescita nei bambini — o trasformazioni profonde nella propria vita che portano al desiderio autentico di rinnovare il guardaroba, non è necessario comprare sempre vestiti.

Perché comprare meno e meglio
Ti lascio alcuni spunti su cui riflettere ogni volta che ti verrà voglia di acquistare da un sito di ultra fast fashion:
La qualità, oggi, è spesso così bassa che non vale nemmeno la pena spenderci 1 €;
Molte campagne pubblicitarie ingannano, facendo leva sulle nostre insicurezze;
Esistono alternative più sane, anche a low cost;
Possiamo ancora sostenere realtà locali, artigiane e autenticamente umane;
Ci sono diverse soluzioni per dare nuovo valore ai capi che possediamo già, alla nostra identità e al nostro stile.
E prima di cliccare su “acquista”, fermati un momento e chiediti: "Mi serve davvero?"
Con questo articolo non voglio far trapelare il messaggio che non dovreste più acquistare fast fashion, fatelo se non avete altra scelta, ma con più consapevolezza.
Non possiamo rivoluzionare le nostre abitudini da giorno all’altro, ma possiamo iniziare a far qualcosa, un piccolo cambiamento, una decisione più lucida, un acquisto in meno — o magari un acquisto fatto con amore.
E se iniziamo a farlo insieme, forse cambierà qualcosa anche attorno a noi.

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Vale










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